Inaugurazione lunedì 16 marzo alle 16.30 presso lo spazio di San Stae alla presenza dell’autore Luigi “Gigi” Ferrigno.
La mostra, a cura dell’Archivio della Comunicazione del Comune di Venezia, in collaborazione con IVESER, prosegue nel lavoro di ricerca, archiviazione e valorizzazione del vasto – quanto inesplorato – patrimonio fotografico di quegli autori veneziani che, nel corso della seconda metà del Novecento, hanno documentato “per immagini” Venezia e il suo territorio, l’economia e la società.
Il progetto fotografico portato avanti da Gigi Ferrigno, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, sul “Luna Park” di riva degli Schiavoni e in altri campi veneziani che allora ospitavano le “giostre”, aveva lo scopo ben preciso di documentazione sociale e d’intima indagine sull’uomo e sulla dignità della persona, sui suoi riti e sul “tempo lento” che ne scandiva il ritmo della vita. Non si trattava dunque di esercizio tecnico ed estetico fine a se stesso, ma di vera e propria presa di coscienza di un nuovo modo di fare fotografia, impostazione teorica questa che lo accomunava a molti altri fotografi di allora, condizionati dalla fotografia sociale proveniente d’oltreoceano senza ignorare quella sperimentale di alcuni autori già affermati a livello internazionale.
Sono esposte in mostra una trentina di fotografie che ci raccontano, o ci ricordano, quando ancora il Luna Park era luogo magico per molti, a prescindere dalla fascia d’età, dal ruolo sociale o dal pensiero politico, nonché posto strategico, per i più giovani, per “abbordare” ragazze o per nascondersi durante le “manche” scolastiche.
Nelle fotografie di Ferrigno scopriamo così un mondo di luci, sguardi e zucchero filato, riflessi e “storie umane” che allo sguardo del visitatore potranno sembrare perfino surreali: il giostraio sornione in cassa dell’autoscontro, “el fritoin” dietro il banco delle frittelle che pare dormire, l’ex pugile suonato col guantone in mano in attesa di giovanotti “tirapugni”, le donne procaci dietro i “tirassegno”, e poi un mondo di bambini e di donne i cui occhi esprimono desideri e talvolta rassegnazione, gioia e tristezza allo stesso tempo. Un mondo semplice e spontaneo che non può non farci pensare a un certo neorealismo nel cinema e in fotografia che, per dichiarata ammissione dello stesso Ferrigno, lo aveva allora molto influenzato. Dall’Arsenale sino a San Zaccaria: un chilometro continuo d’intreccio di tubi e di baracche in ferro e legno, di fili elettrici e di “scintille”, di barchette e di ottovolanti, di fucili ad aria compressa e di pesciolini rossi, di odori di olio bruciato e di profumo di frittelle e zucchero filato.
Fotografie veloci, per lo più scattate di sera senza cavalletto e senza flash che altrimenti, come ci dice Ferrigno, rischiava di “congelare troppo l’immagine”. Foto dove l’attimo colto al volo arricchiva di un valore estetico ed innovativo quel certo “mosso” e gli effetti stranianti che questo rimandava sulla carta fotografica: spettacolari e quasi simboliche le scintille ed i riflessi dell’automobile in curva sull’autodromo elettrico, con alla guida un confuso soggetto maschile che, pur senza averne noi la certezza, pare fissare l’obiettivo del fotografo, impressionando la pellicola e restituendoci un’incredibile fotografia di grande dinamismo e suggestione quasi futurista.
![]() | ![]() | ![]() | ![]() |
![]() | ![]() | ![]() | ![]() |